PRINCIPI E CHANSONNIERS

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Dopo la lunga eclissi altomedievale, in terra di Provenza rinasce la poesia d’amore. È una poesia per musica, che i trovatori, come fanno oggi i rapper, adattavano a una serie di melodie riconoscibili. Ed è una poesia grande, ricca di temi, fascinosa, sensuale e spirituale allo stesso tempo. È di questa poesia l’invenzione della donna angelicata, venerata come una dea, servita come una regina. Il poeta si dichiara vassallo della donna amata. Come faranno poi gli stilnovisti italiani e come farà anche Dante, i trovatori si dichiarano “servi d’amore”, scrivono ciò che l’amore gli detta dentro. E la lingua che usano è bellissima.

“Ben es mortz qui d’amor no sen al cor cal que dousa sabor!”

Scrive il più elegante dei trovatori, Bernard di Ventadorn.

“È proprio morto chi non sente nel cuore qualche dolce sapore d’amore!”.

E questi versi di Guglielmo IX d’Aquitania si possono considerare l’atto di nascita della nuova poesia:

La nostr'amor va enaissi

com la brancha de l'albespi,

qu'esta sobre l'arbr'en creman,

la nuoit, ab la ploi'ez al gel,

tro l'endeman, que•l sols s'espan

per la feuilla vert el ramel.

Il nostro amore va cosi

come il ramo del biancoscpino

che sta sopra l’albero, tremante,

la notte, alla pioggia e al gelo,

fino all’indomani, quando il sole si spande

tra le foglie verdi e i ramoscelli.


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